Formati e dimensioni: una nuova estetica progettuale
Pamela Albanese - TosiLab
Nell'ambito superfici, di fronte a proposte sempre più orientate verso formati grandi o addirittura extra large, diventa interessante indagare i diversi campi del design alla ricerca di parallelismi e ricorrenze nei quali individuare una nuova estetica dimensionale.
Ma partiamo dalla ceramica. Nella sua forma contemporanea essa interpreta l’esigenza della dilatazione spaziale prevalentemente in due modi.
Il primo è un livello fisico-geometrico, che si concretizza nell’ingigantire le misure dei singoli pezzi, attuando un cambio di prospettiva nella proposta: non più piastrelle ma lastre sempre più estese, grazie alla complicità della tecnologia che consente di assottigliare gli spessori ed estendere la superficie estetica.
Il secondo è invece di matrice progettuale, creando proposte coordinate che vestono lo spazio in modo sistemico e modulare. Il progetto complessivo è così coerente, flessibile e riveste ambienti diversi con numerose combinazioni.
Ciò che accomuna entrambi i casi è la tendenza a realizzare un “effetto scatola” limitando al minimo la percezione delle cesure e puntando a creare l’illusione di una superficie continua e perfettamente integrata nell’architettura.
Questa visione oggi è talmente acclarata che se una proposta ceramica articolata deve parlare del presente, automaticamente deve avere delle forme importanti.
Nello scenario dell’interior, a promuovere tale tendenza è stata la diffusione di rivestimenti per così dire “scorrevoli”, nati come resine e microcementi, che consentono di uniformare lo spazio visivo di qualunque dimensione esso sia. Soprattutto per i contesti pubblici e commerciali, questi materiali si sono affermati poiché, oltre a consentire possibilità di personalizzazione pressoché infinite, presentano caratteristiche di uniformità assoluta, all’insegna di un’estetica della sottrazione che tanto piace ai designer più minimal.
Se dall’interno ci spostiamo sull’esterno, non mancano certo i casi di ricerca della superficie “ininterrotta” nell’architettura. Nascono così vere sculture architettoniche che tendono all’estensione omogenea. Christian de Portzamparc per la nuova boutique di Dior a Seoul ha realizzato delle immense pareti che simulano fluidità come se fossero fatte da tessuto di cotone bianco: dodici elementi concorrono a creare una figura che ricorda enormi petali di una forma dell’universo botanico.
Ma l’attitudine ad amplificare con garbo i volumi conferendo loro un appeal contemporaneo è evidente se si guarda anche ai campi attigui, come ad esempio i produttori di mosaico che tendono a comporre con le tesserine dei concept visivi sempre più estesi, dove la percezione delle singole parti si smarrisce nel progetto a favore della composizione finale (un esempio è la proposta Jungle di Mosaico+). Per non parlare dell’articolato mondo dei wallpaper: dal glamour più squisitamente femminile al rigore di un’eleganza d’impronta maschile, passando per il fascino delle atmosfere esotiche, il minimo comune denominatore è la ricerca del “maximum”. I motivi decorativi proposti attingono a contesti che offrono soggetti grandi, sempre più spesso in scala 1:1, come ad esempio intere foreste tropicali, giganti foliage, maxi-strisce e composizioni geometriche retrò, ma anche digressioni pop anni ’80: Elitis propone pois acquarellati in formato XXL sul tessuto Djinn.
Per i devoti dello stile en plein air, la nuova tendenza dei parati è quella di far entrare ampi scorci di natura in casa proponendo delle repliche il più fedele possibile di materiali lapidei o lignei in misure generose. Non c’è da stupirsi se si pensa che marmi e pietre autentiche non hanno mai riscosso così tanto successo quanto in questi ultimi anni, soprattutto quelli che presentano estetiche caratterizzate e che sovente vengono ricomposte “a macchia aperta”.
Le motivazioni che stanno dietro all’evoluzione del gusto nel linguaggio dell’interior non sono le stesse che guidano la diffusione di tale trend negli altri contesti creativi, tuttavia le corrispondenze ci sono e sono più che evidenti. La prima su tutte è quella che deriva dal mondo della comunicazione e delle arti visive, facilmente identificabile in tre trend: la predilezione per le immagini al vivo, l’idea di grafiche all-over, i close up emozionali. Abolita l’idea di cornice, le immagini sono inserite sempre nella loro estensione migliore come se volessero sconfinare dai bordi, e le panoramiche sono diventate una delle tecniche predilette. Le grafiche all-over si estendono dentro e fuori l’elemento o lo spazio in cui dovrebbero essere collocate, andando a inglobare con la loro prepotenza non solo il contenitore ma spesso anche il contenuto. Altri esempi li ritroviamo anche in alcune opere d’arte, come l’installazione di Jim Lambie nella galleria Patrick Seguin di Parigi, dove i segni macro che ricoprono interamente il pavimento funzionano come richiamo alle sculture appese a soffitto. Le nuove rappresentazioni visual abituano i nostri occhi a un senso quasi di straniamento che è ormai entrato a far parte della realtà. E dove non ci sono immagini anche i testi si adeguano prendendo il sopravvento in termini di dimensioni: la “preponderanza del font” è ormai palese nelle headline che divengono enormi.
Anche nel panorama domestico i parametri dimensionali sono decisamente lievitati: le lampade diventano grandi, le poltrone e i divani sono decisamente oversize, gli specchi si ingigantiscono, i letti si presentano extracomfort, le testate ostentano importanti rivestimenti sontuosi, i lavelli dei bagni sono sempre più capienti e i soffioni delle docce sempre più estesi. È verosimile che il cambio di scala degli oggetti di casa si collochi nella volontà, purtroppo illusoria, di creare un “effetto espansione” che possa restituire profondità di campo a involucri che a volte hanno dimensioni contenute. Per dirla in altri termini, è il desiderio inconscio di una contemporaneità alla ricerca di maggiore spazio vitale.